Lo ammetto. Amo i campi da calcio. Tutti. Dal primo all’ultimo. Dal parrocchiale dietro casa mia, senza tribune e in terra battuta, al Boleyn Ground e a tutti i ricordi centenari che porta con sé.
Io in un campo di calcio potrei viverci. Il domicilio al St James Park e il garage sul Tyne, così da farci le riunioni condominiali con Alan Shearer e recarmi tutte le sere nel leggendario Strawberry Pub di fronte. E poi il profumo di erba, di terra, di umidità che per me è profumo di calcio.
Il tempo di questa domenica d’ottobre sembra essersi rotto. Pisciano torrenti dall’alto dei cieli mentre a bordo dell’autobus numero 67 cerco di raggiungere la Grande Metropoli. Trascorso il quarto d’ora accademico, scendo dal dinosauro di lamiera guardandomi nel vetro di una cabina telefonica senza cambiare passo. Il bar davanti allo stadio è composto da un assortimento di tifosi granata. In maggioranza sembrano troppo sballati e tripponi per entrare in curva e saltare come degli indemionati. Oggi dalla paludosa campagna Toscana, arriva la Fiorentina, a battagliare per una posizione d’alta classifica.
Qualche minuto di attesa nel lungo serpentone granata e sono dentro. Posizione centrale, tribuna, non troppo vicino al campo ma nemmeno troppo lontano. Dopo trecento partite è probabilmente l’unica domenica della mia vita dove le chiappe non sono su un’infima scalinata da oratorio oppure direttamente sull’erba.
Il panorama è sempre lo stesso, bello colorato a tinte forti, caldo intenso e tutto esaurito. Fa sempre un certo effetto lo stadio del Toro. Un po’ inglese, un po’ operaio. Sarebbe più corretto dire che in realtà l’atmo del Grande Torino mi gasa a mille, forse perché per una volta nella vita sono due anelli sopra al cranio biondo di uno dei miei idoli di sempre. È dai tempi dello Shrewsbury Town che seguo Joe Hart. Uno dei pochi “Salop” ad avere fatto la fortuna fuori dal New Meadow e da quella contea tutta campi e fabbrichette di caramelle gommose.
Sedici calci d’angolo in tutto e una partita bellissima, davvero. Gioco maschio e aperto da annotare sul taccuino, mentre sulla rubrica telefonica l’amicizia stretta al volo con Asso, un tizio pieno di tatuaggi e anelli da bigiotteria, orgogliosamente di fede granata e con il domicilio proprio accanto al glorioso Filadelfia.
Il risultato finale racconta un 2-1 meritato per il Toro e i 20 mila del Grande Torino che saltano in piedi a fine partita a cantare sono probabilmente il ricordo più piacevole della giornata.
Era da tempo che volevo andarci in uno stadio da avversario, senza combattere, nemmeno per tifare. E se mi capiterà, ci andrò ancora. Da turista.
Federico Gervasoni per TheBegbieInside.com