Pioggerellina, un cassonetto che va a fuoco, qualche sbronzo in un angolo del Walk, un adesivo dell’Hibernian che recita “Edinburgh is ours” ed Easter Road che si staglia nel cielo grigio. Benvenuti a Leith.
Su TheBegbieInside.com ho parlato inevitabilmente più volte di Trainspotting, dell’Hibernian e di Edimburgo. Era giunto il momento di vivere tutto questo in presa diretta.
Sunshine on Leith
Arrivo al bed & breakfast, tra muffa, letto dondolante, bagni in comune e degrado, e già capisco che tutto ciò che mi aspettavo corrisponde a realtà. L’impatto tra il più caotico e trendy centro di Edimburgo e il Walk è, invece, a tratti surreale. Un silenzio assordante circonda tutta Leith, dal mattino sino a notte fonda. E’ quel silenzio fin troppo strano che nei vicoletti più bui ti obbliga a guardarti intorno con aria preoccupata, ma al tempo stesso ha qualcosa di masochisticamente rilassante.
I gabbiani, presenti praticamente ovunque, accompagnano la mia prima notte passata tra haggis e qualche McEwan’s tra l’Harp & Castle e il Cask & Still, ovvero il vecchio Volley ora (purtroppo) rinnovato. L’ambiente è di quelli frizzantini tra bische di poker e biliardo. Mi fa un po’ sorridere l’avviso in bagno che chiede ai clienti di non spacciare e consumare sostanze, o di non entrare per una sveltina perché tanto i controlli sono costanti.
Vado su e giù nel Walk a notte fonda e ogni tanto incontro qualche ubriaco che sbraita in tipico accento scozzese con una bottiglia in mano. Più mi muovo e più respiro la sottocultura casual tuttora ben radicata nel quartiere. Basta guardarsi in giro per trovare adesivi di gruppi ultras provenienti da tutto il mondo, passati non a caso da queste parti, dove negli anni ’80 e ’90 una delle firm più violente dettava legge nel Regno Unito: il Capital City Service dell’Hibernian.
Easter Road e il CCS
La sbornia della notte passa giusto in tempo per l’ora di pranzo, quando realizzo che è il giorno di Hibernian-Greenock Morton e decido così di fare una lunga passeggiata verso Easter Road.
Più mi avvicino allo stadio più la differenza con gli ambienti italiani, o quelli del mio precedente viaggio a Istanbul, sono evidenti. La calma piatta durante l’accesso allo stadio a tratti è addirittura noiosa, decido così di allontanarmi alla ricerca di una pinta prepartita in qualche pub accanto allo stadio. Finisco al Tamsons: 15-20 metri quadri al massimo, in cui saremo stipati quasi in una trentina, ed ora inizio a capire effettivamente che per cercare un po’ di azione a queste latitudini è più semplice infilarsi in un pub. La conferma arriva subito dopo, quando a pochi passi da me trovo altri locali che, in base alla pericolosità della situazione, espongono cartelli in cui consigliano o meno ai tifosi ospiti di entrare per prendersi una birra.
Fatto il pieno, decido di entrare allo stadio. Con un pizzico di delusione mi ritrovo circondato da famiglie e bambini che ogni due secondi scalano le tribune per prendersi da mangiare. Ok con sto modello inglese negli stadi, ma non è roba per me. Pur non reputandomi esattamente un violento. La cosa che mi disorienta e diverte di più in questo primo impatto è la classica mania british per le scommesse, anche all’interno dello stadio. Prima di salire i gradoni mi fermo un po’ ad osservare questa ressa di padri di famiglia, donne di mezza età e vecchietti che puntano su qualsiasi cosa, nemmeno fossimo all’ippodromo e ci fosse Bad Boy vincente su cui scommettere. Se poi si pensa che il meno quotato come primo marcatore è Malonga, sì… quel Malonga, si capisce presto che la partita non sarà esattamente uno spettacolo per palati fini.
Salgo in tribuna e mi guardo intorno, con mia grande sorpresa in un angolo dell’East Stand noto la presenza di un gruppo di giovani vestiti tutti di nero con bandieroni e tamburi che lanciano cori. Qualcosa di simile alle curve “italiane” in Scozia? Strano. Di fatto sono le nuove leve del tifo organizzato dell’Hibernian, tutta gente dai 17 ai 25 anni circa, già celebri per un recente scontro con i rivali degli Hearts e dei Rangers nella scorsa stagione sul Royal Mile di Edimburgo, in pieno centro storico. Niente male. Un po’ come se tifosi di Milan e Inter si scontrassero tra i turisti in Piazza Duomo, o quelli di Roma e Lazio al Colosseo. Bello questo modello inglese.
Il primo tempo della partita fila senza grandi emozioni, decido così di andarmi a fumare una sigaretta all’uscita della Famous Five Stand. Incuriosito da un ragazzo che portava a spasso sua figlia con il guinzaglio, mi ritrovo nel giro di poco tempo circondato da dei casual ormai sulla quarantina. Uno di loro, oltre a tatuaggi e Adidas d’ordinanza mi colpisce per uno sfregio sul viso. Sono finalmente al posto giusto?
Mi guardo nuovamente intorno e accanto a me trovo un tizio dal volto conosciuto, una discreta istituzione dalle parti di Easter Road. E’ Derek Dykes. O il suo sosia, come tenterà di convincermi abbastanza vanamente lui durante una breve chiacchierata, avendomi beccato mentre tentavo di fotografarlo di nascosto. Si tratta di uno dei fondatori del temuto Capital City Service (ora in “pensione”), autore del libro “These colours don’t run” di cui ho già ampiamente parlato su queste pagine, finito in carcere un paio di volte durante gli scontri negli anni ’80.
Insomma, far arrabbiare un tipo come lui non è esattamente il mio obiettivo, quindi dopo aver scambiato un paio di battute, complice anche la ripresa della partita, decido di rientrare nello stadio. Jason Cummings sblocca il risultato dopo pochi minuti regalandoci una gara un pochino meno soporifera e 500 Miles dei The Proclaimers finalmente suonata a palla negli altoparlanti di Easter Road.
Terminata la partita decido di fare un salto al club dell’Hibernian, ma il silenzio di Leith all’uscita dallo stadio e il servizio d’ordine limitato ai confini dell’impianto mi disorienta nuovamente. Certo, la partita contro il Greenock Morton non rappresenta una gara a rischio scontri, ma appare evidente la facilità di organizzare combattimenti o agguati tra tifoserie lontano da occhi indiscreti nelle piccole vie che circondano Easter Road o al parco che dista pochi passi, tra l’indifferenza generale (come di fatto succede negli ultimi anni quando ci sono degli scontri) soprattutto in notturna. Ciao Maggie Thatcher, ciao modello inglese.
The Peoples Republic of Leith
Mi imbuco al club dei supporter malgrado, in teoria, servirebbe qualcuno che ti introduca, stile loggia massonica. Arrivo giusto in tempo per scolarmi qualche pinta e godermi Scozia-Irlanda di rugby in un clima surreale e un pubblico quasi interamente schierato in favore dell’Irlanda. Dal bancone alzo gli occhi e mi ritrovo di fronte una maglia in vendita con scritto “The Peoples Republic of Leith”, che mi ricorda quanto desiderio d’indipendenza ci sia nel quartiere, da Edimburgo e dalla Scozia in generale. Non è un caso che le case attorno a Easter Road siano le uniche della capitale ad avere ancora esposti gli adesivi a favore del “Sì” sul referendum dell’indipendenza della Scozia del 2014. Almeno nei confronti del Regno Unito. D’altronde… l’amico Renton insegna: “è una merda essere scozzesi”. A Leith lo sanno tutti.