#BegbieOnTour ep. 17 – Essere parte di qualcosa a St. Pauli

#BegbieOnTour ep. 17 – Essere parte di qualcosa a St. Pauli

“Cori a contrastare retorica e agonia dall’antro rifiorito qui nella periferia
canti lastricati di coscienza e d’avvenir nel baluardo lieto degli spalti a St Pauli”.

La canzone dei Talco mi è rimbombata nella testa per tre giorni di fila. Succede quando finisci in un gelido gennaio, da solo, ad Amburgo e in particolare a St. Pauli.

Sono stato in diverse città, più o meno affascinanti, ho assistito a diverse partite, più o meno delicate, e finire nel freddo nord della Germania non rappresentava esattamente un mio sogno nel cassetto. Anche la smielata letteratura e i vari storytelling acchiappalike dedicati al St Pauli non mi davano l’idea di un luogo in grado di conquistarmi. Ma al tempo stesso ero convinto che fosse una meta a cui un vero appassionato di calcio, e di tutto ciò che lo collega alla nostra società, non può rinunciare, almeno una volta nella vita.

Atterro ad Amburgo e, con spirito critico e piuttosto disilluso, mi incammino di fretta verso lo stadio, il leggendario Millerntor-Stadion, per St. Pauli-Ingolstadt.
Una volta arrivato al parcheggio sterrato adiacente lo stadio, la sensazione che mi pervade è quella di un enorme deja-vu. Mentre mi avvicino alle tribune e mi mischio tra la folla non mi sento un imbucato alla festa, né tantomeno un turista.

#BegbieOnTour ep. 17 – Essere parte di qualcosa a St. Pauli

St. Pauli: lo stadio

C’è un’atmosfera famigliare, di qualcosa molto vicino a te che hai già vissuto più volte, una partita di provincia, un concerto punk, una serata a un centro sociale, un revival dei sopravvissuti di Woodstock, per certi versi anche un rave.
Tutto mischiato insieme e servito in un boccale di birra tedesca. Di quella ce n’è a fiumi a prezzi modici e senza restrizioni all’italiana. Prima di salire in tribuna si trova anche la Fanladen, il club dei tifosi del St. Pauli, incastonato direttamente dentro lo stadio. Un misto tra un baretto di paese, un negozio di dischi, un locale occupato e una bottega artigianale, tra merchandise per autofinanziarsi, vendita di biglietti e organizzazione per le trasferte alla luce del sole, accessibili a tutti.

Mi dirigo verso le tribune, tra graffiti e birre, e mi trovo circondato da un pubblico davvero variegato. Si va dagli studenti di sinistra alle donne, passando per hippie, raver e qualche turista, molto meno di quanto mi aspettassi sinceramente, e vecchi punk. La vera gente del quartiere Sankt Pauli, quelli che probabilmente negli anni ’80 hanno dato vita al fenomeno sociale che è poi sfociato nell’enorme seguito internazionale del club, la lotta della classe operaia contro il governo tedesco per salvaguardare le case popolari e la zona portuale.

 

Per quanto il St. Pauli sia ormai una vera e propria azienda dal respiro internazionale, tra gadget e loghi con il Jolly Roger ovunque, ben lontana da ciò che può essere stata realmente negli anni ’80, l’atmosfera sulle gradinate resta comunque vecchio stile. Non è un caso che i tifosi siano riusciti a ottenere dal club l’assenza di annunci pubblicitari a partire da un quarto d’ora dall’inizio della partita, o che il nome dello stadio sia uno dei pochi non ancora venduto a uno sponsor in Germania. Per un breve periodo un brand locale aveva allestito anche dei palchetti di lap dance nella tribuna vip, ma la malsana idea non durò molto dopo una pesante contestazione della tifoseria.

Ho assistito a un tifo passionale, presente per tutti i 90 minuti, nonostante una qualità di gioco veramente infima e attaccanti inguardabili, compensati comunque con tanta generosità.

 

Ho visto anche un vecchio punk appendere al muro un ragazzo che voleva superare la lunga coda verso il cesso. Perché il St. Pauli sarà pure un club proletario, dell’omonimo quartiere di marinai, prostitute e criminali, ma anche qui non è il caso di fare gli stronzi. O si finisce male.

St. Pauli: oltre il 90′

Ma l’esperienza con la squadra di calcio non si esaurisce banalmente con i 90 minuti del Millerntor-Stadion, è tutto il quartiere Sankt Pauli che respira la stessa identica atmosfera affascinante. Dalle case in stile mitteleuropeo riempite di graffiti alle birre Astra a 2€ più o meno ovunque, fino ai locali notturni dove puoi trovare musica dal vivo e gruppi di ogni tipo (e no, non parlo di posti turistici con cazzo di cover e tributi), con gli stessi membri della band pronti dieci minuti dopo a dividersi un panino, bere una birra e fumare insieme ai presenti. Esattamente come hanno fatto i Beatles proprio in questi club negli anni ’60, prima di raggiungere il successo mondiale.

St. Pauli è il motivo per cui andiamo allo stadio

Il freddo fascino nordeuropeo di Amburgo si scontra quotidianamente con il calore e la passione viscerale di Sankt Pauli. Perché nonostante la squadra di calcio, la musica, il quartiere, e la città stessa, abbiano probabilmente ormai una patina commerciale e artificiale rispetto agli anni ’80-’90, a St. Pauli c’è una sensazione che non potrà mai sparire: l’essere parte di qualcosa.
Che poi, se ci pensate, è il motivo per cui ogni settimana tifiamo una squadra di calcio o andiamo allo stadio.

 

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