Lo strano e conflittuale rapporto dell'Italia con l'Europeo

Lo strano e conflittuale rapporto dell’Italia con l’Europeo

Archiviato un campionato di Serie A che appare essere sempre più monocromatico, la stagione calcistica negli anni pari del calendario non termina mai nel mese di Maggio, fortunatamente.

È la volta del Campionato Europeo, giunto alla sua 15ª edizione, che consentirà all’aficionado di non passare l’estate alla ricerca spasmodica di surrogati pur di saziare la necessità costante e opprimente di calcio giocato: lo scorso anno le spiagge si affollavano di voci di mercato a metà tra il consolatorio e il fantasioso, i più temerari passavano le notti in bianco a guardare la Copa America (vinta dal Cile, ndr), sperando in qualche lampo di Lionel Messi. Chiusa la fase a gironi, le sorprese non sono mancate. Con l’allargamento da 16 a 24 squadre partecipanti, l’entusiasmo degli esordienti è stata la nota più significativa di questa prima parte di competizione, oltre al vincolo matematico che impone alle quattro migliori terze il passaggio al turno eliminatorio. Se l’intento di Platini era quello di sparigliare le carte, di vivacizzare il torneo, non si può negare che sia avvenuto. Le matricole Irlanda del Nord e Islanda, staccano i biglietti per gli ottavi, quest’ultima grazie a un gol in pieno recupero nella partita decisiva contro l’Austria. La stessa Albania di Gianni De Biasi — terza, ma esclusa per differenza reti — è stata un avversario ostico. Dal canto suo, Gareth Bale si dimostra profeta in patria trascinando, in tandem con Aaron Ramsey, il Galles alla vittoria di un girone non proprio tranquillo.

La gioia di qualcuno, però, è sempre il rammarico di qualcun altro. È una sorta di darwinismo sportivo che sfugge a ogni tentativo consolatorio.

Le delusioni più amare sono senz’altro quelle di Austria, Russia e Turchia con la prima incapace di replicare il gioco che l’ha portata a vincere il girone invernale di qualificazione, e le altre due in pieno declino tecnico, frutto di un ricambio generazionale che non ha prodotto talenti paragonabili a quelli espressi nei primi decenni del 2000. Il resto, seppur con qualche discrepanza dal pronostico, è scivolato via come ci si aspettava.
L’Italia di Antonio Conte, a dispetto delle scelte aspramente (e giustamente) discusse dalla stampa e dall’opinione pubblica, ha espresso finora un gioco intermittente, tutto corsa e ripartenza, brutto da vedere, che però ha portato gli Azzurri ad avere ragione sul Belgio e a vincere il proprio gruppo. Agli ottavi, complice il regolamento, ci sarà la Spagna, seconda nel proprio raggruppamento.

Ora, la domanda che mezza penisola si sta ponendo è una e una soltanto: quante sono le possibilità dell’Italia di vincere il più importante torneo dell’UEFA per nazioni? Quando lo scarso tasso tecnico e la presenza iberica appaiono come due ostacoli difficili da raggirare, si prova a cercare la risposta negli annali, al blasone che una squadra si porta dietro, al suo curriculum, insomma. Storicamente la Nazionale, ha un rapporto abbastanza conflittuale con la competizione. Se, da un lato, il più prestigioso (e al contempo, complicato) Mondiale è storicamente la competizione nella quale gli Azzurri hanno trovato la maggior parte delle loro soddisfazioni, diventandone, così, una delle compagini più affermate e temute, dall’altro, l’Europeo non conferma quasi mai le aspettative riposte dalla gente e dagli addetti ai lavori. So close, so far come direbbero in Inghilterra. L’unica vittoria risale al lontano 1968, Italia nazione ospitante. Nonostante i noti vantaggi che derivano dallo giocare in casa una competizione estiva, vanno considerati alcuni aspetti che depongono a favore della Nazionale, così come altri fattori che hanno inciso in modo netto e indiretto consentendone il successo:

• innanzitutto, le nazioni partecipanti alla fase finale erano soltanto quattro – Italia, URSS, Inghilterra e Jugoslavia – in seguito a un processo di qualificazione oltremodo lungo e complicato; i pareggi erano praticamente banditi, lo stesso per supplementari e rigori. Si passava il turno affidandosi al fato, al caso, alla fortuna che roteava nel lancio di una monetina. Tranne in finale, però, che in caso di pareggio si sarebbe decisa con un classico replay in pieno stile inglese;

• l’Italia disputò il match decisivo contro la Jugoslavia la quale regolò in semifinale la splendida Inghilterra di Bobby Chaltron, Bobby Moore e Gordon Banks, campioni del mondo nel ’66. I nostri si affidarono alla monetina per aver la meglio sull’Unione Sovietica dopo lo 0-0 dei regolamentari. Del resto, erano le regole;

• di certo la Nazionale Azzurra non era del tutto sprovveduta, anzi. Lo scheletro in campo era formato dall’affidabilità di un portiere come Enrico Albertosi, da una linea difensiva solida formata da Giacinto Facchetti e Tarcisio Burgnich e un centrocampo in mezzo ai quali spiccavano per talento De Sisti e Lodetti. In tutta franchezza, nessuno si sarebbe voluto trovare a risolvere il rebus attaccanti di fronte al quale Ferruccio Valcareggi avrà speso di sicuro tempo e sudori. Il fatto di avere a disposizione l’imprevedibilità di Gianni Rivera, il cuore e la tenacia di un emigrante come Anastasi, lo spirito di appartenenza e il senso di responsabilità di Giacomo Bulgarelli, Angelo Domenghini (che risulterà decisivo in finale), l’esordiente Pierino Prati dalla vena realizzativa abbastanza spiccata, concludendo con Sandro Mazzola e Gigi Riva, ai quali non servono parole per essere descritti, possano essere il vero motivo per il quale l’Italia, a discapito di ogni piega regolamentaria, abbia vinto con merito l’Europeo del 1968.

Le successive partecipazioni italiane non hanno avuto grossi sussulti, tranne che per una semifinale nell’88 in cui, neanche affidandosi agli anni rampanti della coppia Vialli-Mancini, si è riusciti a sopperire alla scarsa portata tecnica generale della selezione curata da Azeglio Vicini. L’Europeo svedese del 1992 si segnala per la vittoria sorprendente di una Danimarca richiamata dalle vacanze e per l’assenza della compagine tricolore.

Si arriva ad Inghilterra ’96 in piena crisi esistenziale. Il pallone di Pasadena è ancora un ricordo troppo vivido per la maggior parte dei giocatori presenti in rosa a cui va aggiunta una dose massiccia di fisiologico ricambio generazionale. La squadra di Sacchi, vicecampione del mondo, non riesce a passare un girone che, a parte la solita Germania, è testimone principale dell’alba della Repubblica Ceca come assoluta forza nello scacchiere calcistico per almeno 10 anni.

Europeo 2000, Belgio-Olanda come paesi organizzatori. Uno degli organici migliori della Nazionale, completo in ogni reparto, una squadra quadrata, senza fronzoli, impenetrabile in difesa (grazie al mantra Nesta-Cannavaro-Maldini) e cinica in attacco: Totti-Inzaghi come Stockton e Malone. Era la generazione che ha portato il calcio italiano a dominare le competizioni europee per club e a imporsi in Germania nel Mondiale del 2006. Ma è proprio in questo istante che si incrina, nel modo più clamoroso, il rapporto tra la Nazionale italiana di calcio e l’Europeo. Il passaggio del girone è quasi una formalità: tre vittorie in altrettante partite, unico patema la Svezia a qualificazione già ottenuta. Lo stesso vale per i quarti contro la Romania dei cristallini talenti di Mutu, Hagi e Chivu: a segno Totti e Inzaghi nel primo tempo, poi si amministra facile e i rischi si azzerano.
In semifinale arriva l’Olanda padrone di casa. Si è già accennato alle motivazioni per le quali giocare in casa una competizione estiva è senz’altro un vantaggio: il clima, l’ambiente e la spinta del pubblico fanno sempre la differenza. L’Italia parte imballata, palo di Bergkamp dopo pochi minuti e doppia ammonizione di Zambrotta. Si soffrono i ritmi alti degli Oranges ai quali l’arbitro Merk, sfoderando un “metro di giudizio estremamente severo” (Pizzul in telecronaca), assegna un rigore dubbio. Lo specialista Frank de Boer sul dischetto, Francesco Toldo sulla linea di porta: un Mexican standoff che sarà decisivo. Tiro parato. In quel momento in Italia ci si rende conto che forse vale la pena stare davanti alla tv. Si passa alla ripresa, Mark Iuliano, uno che non faceva della scelta di tempo la sua vita, stende Edgar Davids a limite dell’area. Secondo rigore. L’Olanda cambia il tiratore mandando Kluivert che sceglie, suo malgrado, di stampare la palla sul palo. Tempi regolamentari e supplementari scorrono quasi senza particolari scossoni, accompagnando le due squadre ai calci di rigore, deus ex machina della drammaturgia calcistica. Per l’Italia segnano Di Biagio, Pessotto e Totti (“mo je faccio er cucchiaio.”); sbaglia capitan Maldini. Per l’Olanda va a segno solo Kluivert, mentre falliscono ancora F. de Boer, Stam e Bosvelt. L’impresa di Francesco Toldo (5 rigori davanti ai suoi occhi, ne ha subito solo uno, parandone 3) resta negli annali e consente all’Italia di raggiungere la Francia in finale.

La finale è un altalena. Les Blues – con Zidane, Henry, Djorkaeff, Thuram, Deschamps, Desailly – confermano, quasi nella sua interezza, la rosa che due anni prima si laureò vincitrice del mondiale casalingo contro il Brasile di Ronaldo. Marco Delvecchio sblocca il risultato, segue una partita che vede il muro difensivo italiano chiuso e attento. La flessione minima, che arriva nel recupero, mette nelle mani del subentrante Sylvain Wiltord il rubinetto della doccia più fredda di Rotterdam, incrociando alla sinistra di Toldo. È 1-1. I supplementari, in realtà, durano poco. Dopo appena 13 minuti, la brutale – e scellerata – vanità “blatteriana” di introdurre il Golden Gol permette alla Francia di aggiudicarsi il trofeo grazie a un colpo di testa del micidiale David Trezeguet.

Il 2004 è l’anno della grandissima coincidenza. Europeo disputato in Portogallo vinto dalla Grecia di Otto Rehhagel in finale contro gli stessi lusitani. L’Italia capita in un girone tutto sommato abbordabile per la sua levatura: la Svezia di Ibrahimovic, la Danimarca di Jon-Dahl Tomassoni e la Bulgaria, vittima sacrificale. Capita di partire morbidi e di restarlo per tutta la fase a gironi, segnando appena tre reti in tre partite. Si arriva alla partita finale che vede gli Azzurri impegnati contro la Bulgaria, ormai eliminata. La situazione di classifica è strana, interlocutoria: tre squadre in 2 punti con la possibilità che, in virtù della differenza reti, passino Svezia e Danimarca — appaiate — se la loro ultima partita dovesse finire con il risultato di 2-2. Manco si fosse negli anni ’80, si sta con un orecchio fisso alla radiolina per sapere cosa succedere nel derby scandinavo. 2-1 Danimarca fino al minuto 89’. L’Italia fatica, risolve la sua partita solo al 90’ con un gol di Antonio Cassano, il quale ha un rapporto con la Nazionale quantomeno tribolato. L’esultanza si tramuta in pianto quando lo stesso viene informato del pareggio svedese avvenuto quasi simultaneamente alla sua rete. Pareggio che condanna l’Italia all’esclusione dalla competizione e fa urlare i giornali della penisola allo scandalo, alla combine.
Non sappiamo quanto sia stata voluta o no questa vicenda del “biscotto”, di sicuro ha eliminato gli Azzurri, contribuendo ad allontanarli ancora una volta dal trofeo.

Roberto Donadoni è il responsabile tecnico del gruppo che per primo ha un saggio di ciò che la Spagna calcistica diventerà da quel momento in poi. È l’Europeo del 2008 ospitato dai coinquilini Austria-Svizzera. Le aspettative sono tante, l’Italia campione del Mondo in carica passa per seconda con appena 4 punti in 3 partite. Il primo turno di eliminazione diretta la pone di fronte, appunto, alla Spagna dominatrice del proprio gruppo. Nonostante il divario tecnico evidente tra le due rappresentative, la squadra di Donadoni, arroccata in difesa per respingere la fitta ragnatela di passaggi degli uomini del compianto Aragonés, riesce a raggiungere i calci di rigori. Gli errori di Antonio Di Natale e di Daniele De Rossi, uniti all’impeccabilità degli spagnoli dagli 11 metri, spianano la strada alla Roja che risulterà la vincitrice del torneo.

L’ultimo campionato Europeo si è svolto nel 2012 congiuntamente in Polonia e Ucraina. Prandelli è la guida tecnica. È l’Europeo del rimpianto, di ciò che poteva essere, ma non è stato. Di quello che poteva essere Mario Balotelli, promessa – ormai – disattesa del panorama calcistico italiano. Il rammarico di competere in un periodo storico di totale appannaggio spagnolo. Ai quarti si supera ai rigori l’ostacolo Inghilterra, dopo lo 0-0 regolamentare, mentre in semifinale lo strapotere fisico di Balotelli piega le resistenze tedesche. In finale si ritrova la Spagna, già affrontata nella partita inaugurale, il cui risultato era stato un 1-1 a lento rilascio di ottimismo. Ce la giochiamo col cuore più che con i mezzi, come quasi sempre è successo.
Non proprio. Senza una vera punta di ruolo, con un centrocampo in totale balia del possesso palla magistralmente imbastito da Xavi, Iniesta, Fabregas e Xabi Alonso, l’Italia rimane in partita appena un quarto d’ora, quando David Silva viene pescato in area da un cross proveniente dalla destra. Il resto è accademia. La Spagna vince la finale con un passivo importante, un 4-0 che, unito alla conseguente scarsa competitività nelle competizioni europee per club, suona come il tonfo del calcio italiano più che mai desideroso di rifondazione.

Appena entrati nel vivo della competizione è facile supporre come le possibilità di una vittoria italiana dell’Europeo siano poche, rimanendo fedeli a una tradizione che la vuole favorita, ma mai vincente. Senza rifugiarsi nella scusante delle defezioni di due cardini del centrocampo azzurro come Claudio Marchisio e Marco Verratti, bisogna fare i conti con nuove forze che si affacciano sul panorama calcistico europeo, la migliore Francia post Mondiale 2006, oltre che alle solite Spagna e Germania Di contro, l’affollamento di teste di serie nella parte destra del tabellone rema contro alle velleità di vittoria italiane, la cui Spagna agli ottavi non rappresenta che il primo di una serie di sbarramenti, qualora l’Italia si riuscisse a bypassarlo. Inoltre, il bacino tecnico dei 23 da cui attingere è più che mai povero e privo di alternative capaci di soffiare ottimismo sulla buona riuscita della spedizione azzurra e rassicurare i propri tifosi. Confidare nel forte impatto emotivo e psicologico di Antonio Conte deve essere un’arma, forse l’unica a disposizione.

C’è da dire, però, che non si è ancora visto un picco assoluto di gioco, di brillantezza, di dominio. Finora non ci si è imbattuti in una squadra ingiocabile, un’apice di prestazione capace di far pendere la bilancia del pronostico. Ciò che è emerso dai gironi è l’allargamento del “ceto medio” capace di sorprendere e sovvertire sul campo qualche ordine calcistico, l’Italia ne è una dimostrazione. Tuttavia, è noto come i valori vengano fuori meglio quando la situazione lo richiede, quando si avverte di più la pressione e la posta in gioco è maggiore. Ci si affaccia alla fase più bella dell’Europeo, quella che dovrebbe alzare il livello medio e fare selezione. In un quadro del genere, il rischio di assistere ad un’altra pagina in cui l’Italia, sportiva e tifosa di calcio, possa passare un’estate di amarezza è concreto.

Di sicuro la Snai proporrà una quota alta per la sua vittoria, motivo per il quale investirci un euro potrebbe risultare fruttuoso.

Andrea Ruff per TheBegbieInside.com

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